Avevo circa 17 anni la prima volta che mi sono trovata di fronte a Raffaello, finalmente dal vero, e non davanti a una fotografia su un libro d’arte.

Ero a Vienna e la Madonna del Belvedere era semplicemente magnifica nel suo abito rosso e blu.
Ricordo che dopo qualche tempo, il professore venne a chiamarmi per dirmi che la classe si stava allontanando: gli altri avevano visitato due sale adiacenti ma io non me ne ero neppure accorta e il professore non aveva voluto disturbare la mia concentrazione.

Non sono mai stata persona incline alla sindrome di Stendhal e nemmeno quella volta potremmo definirla cosi. Ma fui rapita dalla densità del colore, dalla purezza di quel blu cobalto che sfumava negli abissi dell’oceano per riemergere rosso sangue e schiarirsi nel corallo. E tutto questo mentre alle spalle della Vergine il paesaggio era dolce e sfumato, le montagne azzurrine e il riflesso della luce sulla specchio d’acqua aveva la consistenza del sogno.

Raffaello riesce in ogni cosa che pensa, la sua calma olimpica non abbassa l’emozione, la cristallizza in un apice eterno.
A 21 anni sbaraglia il suo maestro, Perugino, sul suo stesso terreno di uno Sposalizio della Vergine, che ci catapulta nel cuore stesso del rinascimento; a 25 lo chiama il Papa per affrescare le stanze vaticane e a 35 con la Trasfigurazione, benché incompiuta, stravolge l’iconografia conosciuta fino ad allora.

Maestro del colore e maestro del disegno: ne è prova unica nel panorama artistico il celebre cartone dell’Ambrosiana. Il cartone, totalmente di mano di Raffaello (non come l’affresco in cui probabilmente trovarono posto pennellate dei più fidati collaboratori) ci permette di saggiare la lucidità del suo pensiero, che il disegno, forse ancora più della pittura, ci permette di analizzare.

Nella sua troppo breve carriera, ogni volta che tocca un vertice, ogni volta in cui si pensa “ecco, ha raggiunto il massimo”, con la grazia di chi sembra non far mai fatica, lo supera. A 500 anni dalla morte si celebra ancora un uomo amato da tutti in vita, troppo amato evidentemente anche dalla morte che l’ha voluto con sé, concedendogli in cambio l’immortalità perché, si sa, “muore giovane chi è caro agli dei’’.